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<title>A ruota libera</title>
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<description>parliamo di psicologia nella vita quotidiana. Conoscerci meglio per vivere meglio.</description>
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<title>My Mother</title>
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<pubDate>Wed, 30 Apr 2025 13:55:17 +0000</pubDate>
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<description><![CDATA[What am I going to do? Who can help me? My car refuses to take me home. I have to call someone to help me, but who? I’m reading names on the phone. I’m thinking: George?…no, he would not understand why I am here alone in the middle of the night. Mark?…no…after our last fight……he… <a class="more-link" href="https://www.rosalbascavia.org/2025/04/30/my-mother/">Continua a leggere <span class="screen-reader-text">My Mother</span></a>]]></description>
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<p>What am I going to do? Who can help me? My car refuses to take me home. I have to call someone to help me, but who? I’m reading names on the phone. I’m thinking: George?…no, he would not understand why I am here alone in the middle of the night. Mark?…no…after our last fight……he will enjoy about me being in trouble. Jacob?… no, he has’nt forgiven me yet. Who then? I realize that there is’nt a girl’s name on my list. However it’s no the right time to think about that now. I must come out of this situation . The only person who can help me is my mother. It is rather difficult to call her after I ‘ve sent her to hell a week ago. But she’s my only and last hope. Her voice at the phone is warm and professional as usual. I would rather prefer a mother’s voice , even irritated or sharp, more then that psychotherapeutic warm and professional tone. But, of course, no one of us has the chance to choose the parents and we must accept what we have. However sometimes it is very frustrating. When she arrives, she doesn’t ask anything but ” how you feel? ‘ you all right?”, discreet as usual and elegant as usual, even casually dressed. Not a word about risk or danger I have run, but “are you all right?, You’re sure?” professional as usual. I’m surprised that none of her patients has ever tried to kill her: my mother is always so calm and sure of herself that you feel the strong desire to put your hands around her neck and then…. My God, no, what does it happen to me? How can come to my mind such thoughts? I hear myself answering : “I’m all right, thankyou. Sorry to have disturbed you” We should leave your car here, I take you home and tomorrow morning I’ll send the mechanic for the car.” “I don’t want to go home” The words come out of the mouth despite my will. “Ok, let’s go to my home then” My mother doesn’t ask any thing . And if I dare to say ” Why don’t you ask me any thing” Her answer will be ” You’ll talk when you’ll be ready” . Professional as usual, perfect, but not a true mother from my point of view. </p>
<p> </p>
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<title>La storia di un gatto.</title>
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<pubDate>Wed, 30 Apr 2025 09:53:15 +0000</pubDate>
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<description><![CDATA[A volte avvenimenti banali lasciano tracce indelebili. Marianna ha deciso di sposarsi e insieme alla marea di vestiti, scarpe, borse e trucchi vari vorrebbe portare nella sua nuova casa anche il gatto rosso ,che ha adottato un anno fa’. Un povero gattino minuscolo tanto da stare nel palmo di una mano e malato. A distanza… <a class="more-link" href="https://www.rosalbascavia.org/2025/04/30/la-storia-di-un-gatto/">Continua a leggere <span class="screen-reader-text">La storia di un gatto.</span></a>]]></description>
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<p>A volte avvenimenti banali lasciano tracce indelebili. Marianna ha deciso di sposarsi e insieme alla marea di vestiti, scarpe, borse e trucchi vari vorrebbe portare nella sua nuova casa anche il gatto rosso ,che ha adottato un anno fa’. Un povero gattino minuscolo tanto da stare nel palmo di una mano e malato. A distanza di un anno sta bene. Marianna vorrebbe portarlo con sè, ma il futuro marito non vuole, perchè è allergico al pelo dei gatti. “Non vorrai che starnutisca tutto il giorno!” è sbottato in risposta alle assillanti richieste di Marianna, sua futura moglie. E Marianna affida il gatto alla mamma che, nonostante il suo odio per i gatti, promette di prendersene cura. Ama molto sua figlia e farebbe qualunque cosa per lei, anche prendersi cura del suo gatto. Andrea, così l’ha chiamato Marianna, è un gatto molto speciale. Il tempo passa, succedono tante cose. Arriva anche un cucciolo, un pastore tedesco femmina. Andrea è un po’ infastidito, ma sopporta. La mamma di Marianna lo porta sempre con sè quando va in vacanza d’estate a Pescasseroli. Passano gli anni, Andrea invecchia , si ammala di tumore. Soffre molto. Un giorno la mamma di Marianna decide di andare dal veterinario per chiedergli di sopprimere il gatto. Non sopporta più di vederlo soffrire così: è magrissimo, vomita qualunque cosa mangi, anche gli omogeneizzati. Quando la mamma di Marianna ritorna a casa, Andrea le viene incontro traballante sulle zampe, si struscia sulle gambe della mamma di Marianna poi a fatica cerca di andare sotto il letto e si accascia senza vita. Lei, che non ha mai avuto gatti, non prevedeva di soffrire così tanto per la morte di Andrea. L’immagine di Andrea , che viene a darle l’ultimo saluto, non la dimenticherà mai. </p>
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<title>Mi domando se veramente so chi sono</title>
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<pubDate>Tue, 18 Feb 2025 22:57:56 +0000</pubDate>
<category><![CDATA[psicopatologia quotidiana]]></category>
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<description><![CDATA[Con queste parole inizia la lettera della paziente intelligente, narcisista e un po’ anche rompiscatole. “Le scrivo dopo tanto tempo, quando pensavo di essermi finalmente liberata di lei (!), perché la notizia della morte di una mia ex carissima amica mi ha scombussolata. Mi scusi, spero che questa sia la mia ultima lettera per lei.… <a class="more-link" href="https://www.rosalbascavia.org/2025/02/18/mi-domando-se-veramente-so-chi-sono/">Continua a leggere <span class="screen-reader-text">Mi domando se veramente so chi sono</span></a>]]></description>
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<p>Con queste parole inizia la lettera della paziente intelligente, narcisista e un po’ anche rompiscatole. “Le scrivo dopo tanto tempo, quando pensavo di essermi finalmente liberata di lei (!), perché la notizia della morte di una mia ex carissima amica mi ha scombussolata. Mi scusi, spero che questa sia la mia ultima lettera per lei. Non cerco neppure una risposta, mi basta sapere che lei mi leggerà. Perchè lei mi leggerà, di questo sono sicura.”</p>
<p> E io fedelmente trasmetto a te, mia lettrice o lettore, questa lettera che penso possa essere utile anche a te come lo è stata per me.</p>
<p> ” Mi domando se veramente so chi sono” …….questo dubbio è sorto quando ho incominciato a pensare a come eravamo io e Franci ai tempi del liceo. La notizia della sua morte mi è capitata sotto gli occhi leggendo su Facebook i necrologi della piccola cittadina di provincia, da cui entrambe proveniamo. Non so dirle bene quello che ho provato. Sono rimasta imbambolata davanti a quelle righe nere che davano l’annuncio. Non me l’aspettavo proprio una notizia del genere. Va bene, è ovvio, la morte è dietro l’angolo e in qualunque momento può apparirci davanti, però mi è sembrato che fosse apparsa troppo presto per Franci che ha la mia età. Già , abbiamo superato gli anta da un pezzo, ma non siamo ancora decrepite, eppure lei se ne è andata. Adesso toccherà a me, ho pensato e ho sentito qualcosa che mi si muoveva dentro, ma non so dire cosa. Ci ho pensato tutto il giorno e con la mente sono andata agli anni del ginnasio, del liceo, gli anni in cui ci siamo conosciute e ci siamo frequentate giornalmente. Ho rivisto la Franci, ragazzina carina, brunetta , allegra, gentile. Siamo state compagne di banco dalla quarta ginnasio al terzo liceo, anno della maturità. Abbiamo vissuto insieme i primi innamoramenti, lei era più bella di me e aveva tanti corteggiatori. Qualche volta forse l’ho anche invidiata, soprattutto perché era più ricca di me e la sua famiglia era più importante della mia. Le nostre strade si sono separate alla fine del liceo, dopo l’esame di maturità. Io sono partita per l’Inghilterra a fare la babysitter e studiare l’inglese, lei si è trasferita a Milano e si è iscritta all’università alla facoltà di giurisprudenza. Ci siamo riviste quarantenni, tutte e due con matrimoni sfasciati alle spalle, io con un figlio , lei con due figlie affidate al padre. Ci siamo riviste perchè lei , di passaggio nella mia città aveva voluto rivedermi. E in quell’incontro ho scoperto qualcosa che mi ha sorpreso, che non avrei mai immaginato. Franci mi ha detto che ero sempre stata per lei un modello,un esempio di vita. Mi ha detto che aveva saputo tutto della mia vita, delle mie varie peripezie e che mi aveva ammirato molto. Può ben immaginare il mio stupore nell’ascoltare quelle parole. Ero anche un po’ spaventata dal suo comportamento, soprattutto dalla reticenza con cui rispondeva alle mie domande: perchè questo interesse quasi ossessivo per la mia vita? Avevamo passato insieme un’intera giornata, a pranzo lei si era limitata a un’insalata scondita. Alla sera, dopo averla lasciata in albergo, ero sfinita . Ero stata tutto il giorno con una sconosciuta: niente di quella donna magra, vestita di nero, con gli occhi sempre vigili e sospettosi mi ricordava la mia Franci del liceo. Una settimana dopo mi ha telefonato con una richiesta assurda: andare negli uffici di una nota casa editrice per recuperare la copia di un suo libro inviato per essere visionato. Le ho risposto che mi stava chiedendo di spendere una giornata di lavoro per recuperare il suo libro, che era più opportuno rivolgersi direttamente alla casa editrice o a un’agenzia. Ha bruscamente interrotto la comunicazione e da allora non l’ho più sentita. Da un nostro compagno di liceo ho poi saputo che era stata ricoverata per qualche tempo nel reparto di psichiatria dell’ospedale della nostra cittadina di provincia; che questo era il motivo per cui il padre aveva ottenuto l’affidamento esclusivo delle due figlie; che aveva rotto i rapporti con tutti tranne che con lui, che come avvocato l’assisteva nelle varie cause che aveva intentato. Insomma una vita rovinata. Ma come è possibile che una persona cambi così tanto? Franci, cosa è successo? perchè sei cosi diversa dalla Franci che conoscevo io? O forse tu eri già così , ma io ero troppo superficiale per capirlo? Certo a 50anni o 60anni si è diversi da quando si era ventenni o trentenni, però non così diversi da essere irriconoscibili. Ecco allora che penso che non ti ho mai visto come eri veramente, Franci, non ho mai capito niente di te e neppure di me. Come ho potuto essere un modello per te, io che mi sono sempre considerata una sfigata, io che per tutta la vita ho cercato inutilmente di capire chi sono e cosa voglio. Che peccato non poter tornare indietro e scrivere un nuovo copione della nostra vita. Ormai tu te ne sei andata,Franci, e io sono ancora qui a pormi tanti perchè senza alcuna speranza di risposta.”</p>
<p>Addio, dottoressa , questa è la mia ultima lettera. Questa volta ho tagliato il cordone ombelicale che mi legava a lei. L’ho tagliato io. Sono pronta a vivere gli anni che mi restano consapevole che siamo tutti precari in questa vita, che non possiamo avere certezza di niente , che solo vivendo sapremo se abbiamo fatto una scelta giusta o sbagliata.Le auguro ogni bene dottoressa. GRAZIE!</p>
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<title>Ma quanto è terapeutica la creta!</title>
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<pubDate>Thu, 05 Sep 2024 09:47:31 +0000</pubDate>
<category><![CDATA[psicopatologia quotidiana]]></category>
<category><![CDATA[armonia]]></category>
<category><![CDATA[creta]]></category>
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<description><![CDATA[” Dottoressa, ho scoperto la creta!” sono le prime parole dell’ultima lettera della mia ex paziente, che ha ancora difficoltà a considerare terminato il cammino psicoanalitico percorso con me. E prosegue:” Mi sono innamorata della creta. Ha un potere tranquillizzante incredibile. E’ successo che ho accettato l’invito della mia amica scultrice e sono andata a… <a class="more-link" href="https://www.rosalbascavia.org/2024/09/05/ma-quanto-e-terapeutica-la-creta/">Continua a leggere <span class="screen-reader-text">Ma quanto è terapeutica la creta!</span></a>]]></description>
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<p>” Dottoressa, ho scoperto la creta!” sono le prime parole dell’ultima lettera della mia ex paziente, che ha ancora difficoltà a considerare terminato il cammino psicoanalitico percorso con me. E prosegue:” Mi sono innamorata della creta. Ha un potere tranquillizzante incredibile. E’ successo che ho accettato l’invito della mia amica scultrice e sono andata a casa sua. Il posto è straordinario: una casa nel bosco sugli Appennini laziali, circondata da querce gigantesche, fiori ovunque che fanno compagnia alle sue sculture colorate. Veramente un paesaggio da favola. A pochi passi dall’abitazione c’è il laboratorio dove ho fatto la mia prima esperienza con la creta. All’inizio ero abbastanza scettica, mi sembrava di svolgere un lavoro infantile, ma senza l’entusiasmo e la creatività di un bambino. Ovviamente tenevo per me i miei pensieri , non volevo deludere la mia amica così convinta delle qualità terapeutiche del maneggiare la creta. ” Premi per far uscire l’aria, ma con leggerezza….. fai scivolare le dita con delicatezza, la creta è viva…crea spazi, vuoti….. se le pareti sono troppo spesse poi nel forno scoppiano! ” Di suggerimento in suggerimento le ore passavano mentre io, immersa nel lavorare la creta, non me ne rendevo conto. Incredibile, quando ho alzato la testa e guardato fuori dalla finestra, era tutto buio, il pomeriggio era trascorso in armonioso silenzio intercalato da un morbido sottofondo musicale e qualche pacata parola della mia amica-maestra. Dottoressa, ero esterrefatta, non mi riconoscevo più, è difficile dirle ciò che provavo. Se dico una sensazione di pace, non dico abbastanza. Mi sentivo più serena, non più in guerra con me stessa e con il mondo. Avrei voluto dirlo alla mia amica, ma non mi uscivano le parole, che forse in quel momento sembravano inutili. Ho detto soltanto ” hai visto, è già buio, non mi sono accorta del tempo che passava” “eh, si, succede quando si lavora con la creta” mi ha risposto lei sorridendo.</p>
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<title>Odi et Amo…</title>
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<pubDate>Sun, 07 Jul 2024 16:43:11 +0000</pubDate>
<category><![CDATA[psicopatologia quotidiana]]></category>
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<description><![CDATA[“Odi et amo. Qua re id faciam, fortasse requiris. Nescio, sed fieri sento et excrucior.” Grande Catullo. Che ne dice , dottoressa? Incomincia così la lettera della sempre tormentata, intelligente paziente , che non riesce a separarsi dalla sua analista. E il seguito ve lo trascrivo fedelmente. ” Amo Catullo : dire che è moderno… <a class="more-link" href="https://www.rosalbascavia.org/2024/07/07/odi-et-amo/">Continua a leggere <span class="screen-reader-text">Odi et Amo…</span></a>]]></description>
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<p>“Odi et amo. Qua re id faciam, fortasse requiris. Nescio, sed fieri sento et excrucior.” Grande Catullo. Che ne dice , dottoressa? Incomincia così la lettera della sempre tormentata, intelligente paziente , che non riesce a separarsi dalla sua analista. E il seguito ve lo trascrivo fedelmente. ” Amo Catullo : dire che è moderno è dire una banalità. E’ attuale sempre, lo era in vita (84 AC / 54 AC) E lo è oggi (2024). Questi versi, che manifestano il suo amore tormentato per Clodia, esprimono anche, secondo me, la contraddizione perenne del sentire umano. E non solo in amore. Io ricordo , per esempio, da adolescente l’intensità del mio odio e del mio amore per la montagna. Mio padre portava me, le mie sorelle e mia madre a scarpinare sulle montagne della val d’Aosta, a Courmayeur. Stavamo in giro almeno una settimana dormendo nelle baite dei pastori e siamo andate persino sul Monte Bianco-al Dente del Gigante. Quanto odiavo le alzatacce mattutine, il latte appena munto e quel pane nero a colazione, ma quanto amavo quel cielo che brillava sul ghiacciaio e il silenzio immobile del tempo. E poi in quante altre situazioni ci sorprendiamo ad amare e odiare contemporaneamente? Quale sensazione paradisiaca ti può suscitare un profumato piatto di spaghetti cacio e pepe e contemporaneamente un puro odio per ogni spaghetto che ti fa’ aumentare il giro vita e non solo.E che dire poi dell’amore per la lettura. Io adoro leggere, sono una bulimica della carta stampata e anche degli Ebook, ma odio intensamente gli uni e l’altra perché più leggo più mi scopro ignorante. Ma c’è un rapporto che più di ogni altro mi sembra sia caratterizzato dall’intensità dell’ambivalenza amore/odio ed è quello con il genitore del proprio sesso. Io l’ho vissuto così, viscerale, immutato con il passare degli anni. Forse da adulta qualche volta sono riuscita a moderare il linguaggio e a nascondere l’odio che sentivo in quel momento, che comunque veniva fuori indirettamente, traspariva da un gesto di insofferenza, un tono di voce aspro o una finta sordità. A volte osservando il gatto o il cane come si comportano con gli altri animali o esseri umani in casa e fuori casa, mi sorprendo a invidiare il loro schema di comportamento elementare, esplicito , amico/nemico, privo di dubbi. Quanto sarebbe più semplice la mia vita se riuscissi a essere come loro. Mi sembra di vedere punti interrogativi nelle sue pupille e di sentire il suo commento :” per quanto tempo ancora le sarà così scomodo riconoscere e tollerare la provvisorietà, l’ambiguità , la complessità della natura umana?” E’ vero è scomodo vivere come esseri umani, meglio campare come gli animali, mangiare ,scopare, dormire…….senza tante complicazioni! Ma davvero è quello che voglio? Rinunciare alla natura umana e trasformarmi in una bestiolina? Lei che mi dice , dottoressa?” NO COMMENT.</p>
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<title>Negazionista? ma anche no!</title>
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<pubDate>Sun, 07 Jul 2024 16:42:04 +0000</pubDate>
<category><![CDATA[psicopatologia quotidiana]]></category>
<category><![CDATA[negazionista]]></category>
<category><![CDATA[paura di crescere]]></category>
<category><![CDATA[responsabilità]]></category>
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<description><![CDATA[Di fronte a una realtà troppo dura , che non riesco a sopportare, cerco un modo per sopravvivere . Un modo efficace può essere proprio NEGARLA questa realtà che mi terrorizza e crearne un’altra, immaginaria ma rassicurante. E così ho costruito la base del pensiero delirante, che è condiviso sia dal professore di matematica che… <a class="more-link" href="https://www.rosalbascavia.org/2024/07/07/negazionista-ma-anche-no/">Continua a leggere <span class="screen-reader-text">Negazionista? ma anche no!</span></a>]]></description>
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<p>Di fronte a una realtà troppo dura , che non riesco a sopportare, cerco un modo per sopravvivere . Un modo efficace può essere proprio NEGARLA questa realtà che mi terrorizza e crearne un’altra, immaginaria ma rassicurante. E così ho costruito la base del pensiero delirante, che è condiviso sia dal professore di matematica che dal pescivendolo, dall’avvocata e dalla colf, dalla psicologa e dalla pediatra, dal giovane e dal vecchio, dall’italiano, dall’ europeo, dall’ africano, dall’ asiatico, dal sudamericano, dallo statunitense, etc, etc. Oggetto del pensiero delirante può essere qualunque cosa adatta ad essere vissuta come il nemico colpevole. Per esempio nel caso del Covid, l’epidemia non esiste, è una fandonia delle case farmaceutiche per vendere i vaccini e fare soldi ai danni delle popolazioni. I vaccini sono pericolosi , non ci difendono ma servono solo ad aumentare i guadagni delle case farmaceutiche. Ovviamente la realtà delle scoperte scientifiche viene negata come viene negata ogni realtà scomoda, che presuppone l’assunzione di responsabilità di ciascuno di noi. Prendiamo come esempio l’epidemia del Covid 19. Molto probabilmente ha avuto origine e si è diffusa da un laboratorio cinese. Il comportamento ragionevole è quello di cercare di circoscrivere il fenomeno e limitarne il più possibile la diffusione. Da qui la necessità dei vari lockdown, cioè la chiusura delle attività, il confinamento dei cittadini nelle loro abitazioni, etc, etc. inoltre la ricerca da parte degli scienziati di vaccini in grado di contrastare la diffusione della malattia.Sembrerebbero misure razionali, addirittura ovvie per contrastare il fenomeno e salvaguardare la salute di tutti. Invece no. Ecco apparire sulla scena personaggi che improvvisano strampalate teorie sulla pericolosità dei vaccini, proclamano che l’epidemia non esiste, è solo un’influenza. Le migliaia di morti? sono dovute ad altre malattie già diagnosticate. Perchè alcuni hanno bisogno di credere alle teorie più stravaganti e bizzarre pur di non affrontare la realtà? Forse perché affrontare la realtà comporta anche l’assunzione di responsabilità, comporta essere adulti e consapevoli dei propri diritti , ma anche dei propri doveri? I negazionisti sono anche coloro che auspicano l’uomo forte al comando, colui che li salva e li protegge da fantomatici nemici, identificati di volta in volta come i cosiddetti poteri forti, o i grandi banchieri ebrei, o i comunisti mangiabambini, etc,etc. Sembra allora non azzardata l’ipotesi che il bisogno di negare la realtà esprima la paura di crescere, la paura di diventare adulti e assumersi la responsabilità della propria vita. D’altra parte i passaggi dall’età neonatale all’infanzia, all’adolescenza, all’età adulta e alla vecchiaia non sono facili per nessuno di noi. Ogni passaggio infatti impone abbandoni, cambi di abitudini , nuovi aggiustamenti. Insomma il processo di crescita può avere momenti molto belli, ma è anche molto scomodo nella sua complessità. Tanto è vero che , osservando i comportamenti degli esseri umani , spesso ci si domanda in quale fase del processo di crescita , a prescindere dall’etnia, dallo stato, dalla lingua, siamo giunti? Non sorge il dubbio che stiamo ancora attraversando la fase tardo infantile, dove vince chi ce l’ha più lungo?Non sorge il dubbio che siamo ancora molto lontani dalla tanto auspicata ADULTITA’?!!!! </p>
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<title>Femminicidio</title>
<link>https://www.rosalbascavia.org/2024/06/05/femminicidio/</link>
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<pubDate>Wed, 05 Jun 2024 14:29:28 +0000</pubDate>
<category><![CDATA[Uncategorized]]></category>
<category><![CDATA[disprezzo per le donne]]></category>
<category><![CDATA[femminicidio]]></category>
<category><![CDATA[mamma/figlio maschio]]></category>
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<description><![CDATA[Non passa giorno senza la notizia dell’ennesimo femminicidio. Spero che la frequenza di questo crimine, per quanto sconvolgente, non porti alla sua assuefazione. La specie umana è sopravvissuta a eventi estremamente sconvolgenti e drammatici anche grazie alla sua capacità di assuefazione. L’abitudine può essere salvifica, ma anche deleteria come in questo caso. Io comunque non… <a class="more-link" href="https://www.rosalbascavia.org/2024/06/05/femminicidio/">Continua a leggere <span class="screen-reader-text">Femminicidio</span></a>]]></description>
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<p>Non passa giorno senza la notizia dell’ennesimo femminicidio. Spero che la frequenza di questo crimine, per quanto sconvolgente, non porti alla sua assuefazione. La specie umana è sopravvissuta a eventi estremamente sconvolgenti e drammatici anche grazie alla sua capacità di assuefazione. L’abitudine può essere salvifica, ma anche deleteria come in questo caso. Io comunque non mi sono ancora abituata a questo stillicidio mortifero e perciò ne scrivo. Non voglio fare la maestrina, né emettere oracoli . Non ho la soluzione in tasca e non pretendo di esaurire l’argomento con questo breve articolo. Ho un blog e vi scrivo quello che voglio, sempre rispettando me stessa , ovviamente, e chi mi legge. Oggi mi sono chiesta perché questo fenomeno continua a ripetersi e nessuno sembra in grado di porvi fine. Temo che la risposta non sia rassicurante. Si tratta di un fenomeno , figlio della cultura maschilista che continua a infestare e appestare le società occidentali. Evito di parlare del rapporto maschilismo / società orientali perchè non ho competenze adeguate . Tornando dunque alla nostra società occidentale mi sembra di poter dire che all’origine del fenomeno del femminicidio ci sia il rapporto “madre/figlio “. Se ne avete l’occasione , osservate come si comporta la mamma con il figlio maschio. L’atmosfera di questo rapporto ha qualcosa di speciale, il maschietto sembra veramente ” his majesty the baby”! ” Malattia, morte, rinuncia al godimento, restrizioni imposte alla volontà personale non devono valere per lui, le leggi della natura al pari di quelle della società devono essere abrogate in suo favore, egli deve ridiventare il centro e il nocciolo del creato, quel His Majesty the Baby, che i genitori si sentivano un tempo.” (Freud ) Non solo. Se la mamma non apprezza se stessa come donna, tende a vedere il figlio maschio come un prolungamento di sé, la realizzazione dell’identità da sempre agognata. E il figlio maschio sarà il suo oro olimpico. E nessuna donna sarà mai degna di suo figlio. All’esaltazione del maschio fa da contro altare la denigrazione delle figlie femmine e di tutte le donne. Come potete pensare che un uomo, che abbia ricevuto messaggi di questo tipo sin da quando era neonato, possa tollerare dei “NO”, possa tollerare di essere lasciato…..! Impossibile : si impara giorno dopo giorno a gestire le frustrazioni, i rifiuti, gli abbandoni. Chi non ha questo allenamento non può che reagire con violenza ai “No”, ai rifiuti, agli abbandoni. A questo punto qualcuno può obiettare che tutti gli uomini sono dei potenziali assassini di donne. Ovviamente no. Dipende da quanto profonda è la disistima della madre verso il suo stesso sesso. Più è profonda più è malato il rapporto con il figlio maschio e quindi foriero di grossi guai futuri. D’altra parte la disistima, che molte donne, purtroppo, hanno per il proprio sesso, è anch’essa frutto di messaggi inconsci ricevuti dal seno materno. E come potrebbe essere diverso? Tutte le madri sono condizionate dalla società in cui vivono e se la società è una società maschilista….?! “Cambiamo la società” direte voi. Si, concordo, ma mi sembra un po’ complicato. A parole tutti vogliamo la parità fra uomini e donne, ma la sola volontà non basta: serve un impegno totalizzante, che coinvolga tutto il mondo della scuola a cominciare dagli asili nido; tutti i luoghi di lavoro dove organizzare almeno una volta al mese incontri della durata di un’ora e mezzo con dieci partecipanti, al massimo, condotti da uno psicoterapeuta a indirizzo psicodinamico. E coinvolgere anche intellettuali, artisti, sportivi per manifestazioni, mostre, dibattiti. Insomma coinvolgere la società tutta per creare un rapporto nuovo tra donne e uomini basato sul rispetto reciproco. Sarà possibile realizzare tutto questo ?…….Non lo so. Forse è solo un sogno ad occhi aperti che rimarrà tale.</p>
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<title>Quando finisce un amore………</title>
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<pubDate>Sat, 11 May 2024 08:17:41 +0000</pubDate>
<category><![CDATA[psicopatologia quotidiana]]></category>
<category><![CDATA[amore e abbandono]]></category>
<category><![CDATA[coppia]]></category>
<category><![CDATA[difficoltà]]></category>
<category><![CDATA[prepotenza]]></category>
<category><![CDATA[rancore]]></category>
<category><![CDATA[separazione]]></category>
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<p>” Dottoressa buon giorno, sono ancora e sempre io, la sua ex-paziente, un po’ meno ribelle e sempre più sua estimatrice . Mi sta succedendo qualcosa di strano…. che ora le racconto.” Avrete capito da queste parole che l’autrice di questa lettera è quella paziente di cui ho scritto tante volte, che ha voluto lasciare l’analisi ( forse troppo presto) e ora continua il suo rapporto con me tramite la scrittura. Prevedo che la corrispondenza con lei si protrarrà nel tempo, pertanto , non potendo riferirmi a lei con il suo nome vero per ragioni di privacy, d’ora in avanti la chiamerò l’Innominata (riferimento manzoniano non del tutto inappropriato). Ecco dunque il testo della sua lettera. “Da un po di tempo, con mia grande sorpresa, sono diventata un punto di riferimento non solo delle mie amiche, ma anche delle amiche delle amiche e addirittura delle loro figlie e figli! E’ straordinario, non crede?Evidentemente sono davvero cambiata e ispiro fiducia?!? Bah, non so, a volte ho paura di parlare, ho paura di dire cose sbagliate e di fare danno. Proprio ieri sono venuti a casa mia la figlia di una mia amica e il suo ragazzo. Hanno diciotto anni tutti e due e frequentano l’ultimo anno di liceo. Stanno insieme da circa tre anni e adesso Ginevra vuole lasciare Paolo (non sono i loro nomi veri naturalmente). Sono venuti da me perché li aiuti a capire cosa sta succedendo fra loro e come affrontare la loro separazione. Accidenti, io per prima non so separarmi dalle persone, dalle cose, dai luoghi, come faccio ad aiutarli? Non sono ancora riuscita a separarmi da lei, e le mie lettere ne sono una testimonianza, sono proprio la persona sbagliata. L’ho confessato apertamente e sa che mi ha detto Ginevra? “Mamma mi ha suggerito di chiedere consiglio a te proprio perchè tu sai com’è quando un amore finisce….conosci il dolore…..” Mi guardava mentre parlava e io sentivo la sua disperazione, mentre Paolo ascoltava cupo. In quel momento mi sono chiesta cosa direbbe la dottoressa? E mi sono venuti in mente i suoi silenzi, e soltanto adesso ne comprendo il valore. Si, perchè il silenzio è ascolto, è accogliere l’altra persona, accogliere le sue parole e i suoi silenzi, le sue lacrime, i suoi sospiri. E così li ho guardati e ho detto semplicemente: “ditemi”. “E’ difficile, non so da dove cominciare …..” Ginevra guarda Paolo, forse cercando aiuto, ma lui siede rigido, immobile, con uno sguardo buio e non sembra disposto a dire alcunché. Allora la ragazza riprende a parlare, ma adesso la sua voce è aspra :” Non ci capiamo più, andiamo per strade diverse, vogliamo cose diverse ” ” Tu vuoi cose diverse ” la interrompe Paolo con astio. ” Si, è vero, ma tu non cerchi neppure di capire ……dici no e poi no senza spiegare…..o si fa come vuoi tu o non va bene……” ” Potrei dire la stessa cosa di te…..tu hai deciso di andare in America senza averne parlato prima con me, ………avanti di che non è vero!” Li guardo: Paolo è rabbioso, pieno di rancore, Ginevra triste e stanca di un rapporto diventato evidentemente troppo faticoso gli risponde amareggiata: ” E non ti domandi perchè non ne ho parlato con te prima di prendere questa decisione? quando si parlava dei progetti futuri anche con gli altri amici tu dicevi che noi volevamo fare medicina alla Sapienza e poi andare a lavorare nello studio di tuo padre. Dicevi noi, parlando anche per me, senza consultarmi, ma ti rendi conto della violenza del tuo comportamento……..decidere per me al posto mio,….e la cosa incredibile, assurda che lui neppure se ne rende conto” Lo dice guardando me. Io passo lo sguardo dall’uno all’altro e non so cosa dire. Mi sembrano così diversi che non capisco come abbiano fatto a stare insieme per tre anni. Insomma dottoressa non voglio tediarla con un resoconto particolareggiato del colloquio con questi ragazzi, le dirò soltanto ciò che mi è rimasto dentro di questa esperienza e ciò che penso della generale difficoltà a chiudere i rapporti sentimentali. Mi è rimasta dentro tristezza e paura. Tristezza ovviamente per l’evidente sofferenza dei due ragazzi, paura per il cupo rancore di Paolo. E poi tante, tante domande, infiniti punti interrogativi sull’amore, sulle relazioni sentimentali e non, sulla separazione, sull’abbandono, sulla libertà………..insomma tante domande e nessuna risposta. Perché non cerca di darmela lei una risposta?!” Perchè non ce l’ho la RISPOSTA!!! Posso cercare di guardare da più punti di vista la difficoltà che più o meno tutti noi viviamo quando dobbiamo affrontare una qualunque separazione, non solo sentimentale. Una conoscenza più approfondita di qualunque fenomeno può far diminuire l’ansia legata al fenomeno medesimo. Cosa avviene nella separazione? Cosa significa separarsi?Mi viene in mente il gioco del rocchetto del nipotino di Freud. Per gestire l’angoscia della separazione dalla mamma, lancia sotto il letto, ,facendolo scomparire, un rocchetto legato ad un filo e poi lo tira di nuovo a sé. In questo modo rappresenta se stesso come soggetto attivo che gestisce la separazione e non la subisce = sono io che ti faccio sparire e sono io che ti faccio riapparire. Da ciò si potrebbe pensare a una prima differenziazione fra separarsi per volontà propria e separarsi per volontà altrui, cioè agire o subire la separazione. Ipotizzando che la sofferenza sia comune alle due situazioni, perchè è più disperata la persona che subisce la separazione? ecco giro a chi mi legge le domande :” Chi è più disperato, chi lascia o chi è lasciato?” “Perché?” Sarebbe interessante confrontare le varie opinioni.</p>
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<title>separazione e autonomia</title>
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<pubDate>Sat, 10 Feb 2024 16:33:01 +0000</pubDate>
<category><![CDATA[Uncategorized]]></category>
<category><![CDATA[angoscia]]></category>
<category><![CDATA[autonomia]]></category>
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<category><![CDATA[seduta psicoanqalitica]]></category>
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<description><![CDATA[E’passato qualche mese dall’addio della paziente protagonista dei precedenti articoli e oggi mi è arrivata una sua lettera, lettera non email! Lettera scritta a mano e spedita con il francobollo. Mi ha stupito: chi scrive ancora lettere a mano oggi, quasi nessuno, ma lei si, per distinguersi dalla massa e con la sua solita sincerità… <a class="more-link" href="https://www.rosalbascavia.org/2024/02/10/separazione-e-autonomia/">Continua a leggere <span class="screen-reader-text">separazione e autonomia</span></a>]]></description>
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<p>E’passato qualche mese dall’addio della paziente protagonista dei precedenti articoli e oggi mi è arrivata una sua lettera, lettera non email! Lettera scritta a mano e spedita con il francobollo. Mi ha stupito: chi scrive ancora lettere a mano oggi, quasi nessuno, ma lei si, per distinguersi dalla massa e con la sua solita sincerità lo scrive chiaramente. Ecco il testo. Mia cara dottoressa, (mi consenta questa intimità) cosa ha pensato quando ha ricevuto la mia lettera? Un po’ si sarà meravigliata, e poi avrà detto “l’ha fatto per essere diversa, sempre narcisista”. Forse ha ragione o forse no. Si, mi voglio distinguere dagli altri. Che c’è di male? In questo caso poi…..recuperare l’uso della penna e il movimento manuale della scrittura potrebbe anche essere un modo per difendere la nostra “umanità” dalle macchine intelligenti. Anche i ragazzi, soprattutto loro, dovrebbero riprendere o imparare a scrivere con la penna o la matita e dimenticarsi ogni tanto del telefonino e del PC. Se continueranno a digitare soltanto, finirà che non sapranno più scrivere a mano. Proprio un bel progresso! Comunque non è di questo che volevo parlarle.Il lavoro che abbiamo fatto si sta rivelando molto utile. Adesso sto incominciando a riconoscermi, a tollerare i miei difetti, non cerco più la perfezione e. riesco ad accettarmi come sono. C’è una cosa però che turba la mia serenità, la difficoltà enorme a separarmi dalle persone, dagli oggetti, dai luoghi, da tutto! La strategia che metto in atto per superare l’angoscia della separazione è mantenere un distacco affettivo da tutto. E per quanto riguarda i luoghi non trattenermi mai troppo a lungo in un posto e programmare già all’arrivo il momento della partenza. Certo tutto ciò mi complica notevolmente la vita, ne sono consapevole, ma almeno così evito le crisi di panico, che le assicuro sono tremendamente spiacevoli!!! E uso un eufemismo! Anche separarmi da lei è stato molto, molto difficile e lei non ha fatto nulla per trattenermi. Quindi sono molto arrabbiata con lei, perché, nonostante questo problema irrisolto, mi ha lasciato andare via senza combattere.Una madre combatte sempre , senza sosta, per il proprio figlio/a, invece lei non lo ha fatto. L’analista è una madre, no? Perchè dunque lei mi ha abbandonato nella mia nevrosi? Lo sa, non posso proprio perdonarla. Non ho intenzione di riprendere l’analisi con un altro analista per risolvere il mio problema relativo alla separazione e dovrò cavarmela da sola. Ecco lei mi ha lasciato sola in quest’ultima battaglia. Sento nelle orecchie la sua voce :” Se l’ho lasciata andare, evidentemente sapevo che ce l’avrebbe fatta, che era in grado di camminare da sola. L’analisi a questo punto sarebbe stata una gruccia che chiudeva la strada verso un’autentica autonomia” Questo lei mi direbbe e forse sono costretta a darle ragione, però che fatica ……è proprio in salita la strada verso l’autonomia! Ripenso a quando ero piccola e accanto alla babysitter salutavo mia mamma che partiva per una lunga tournèe . Nessuna lacrima, dritta, rigida, sventolavo la mano e guardavo la macchina che la portava via fino a che scompariva dietro la curva del viale di casa nostra. Poi rientravo e andavo al suo pianoforte, mi sedevo e incominciavo a tempestare i tasti con gli esercizi di accordi. e scale. E suonavo, suonavo per ore. Mio papa, la babysitter, la cameriera mi lasciavano fare per non subire le mie urla isteriche. Mamma era una concertista e stava via da casa anche due o tre mesi. Sono separazioni traumatiche queste ,che potrebbero essere all’origine del mio problema. Io non ripenso volentieri a quel periodo, ma quando mi costringo a farlo per motivi terapeutici, piango e allora mi rendo conto che quei distacchi devono essere stati eccessivamente dolorosi per una bimba di sette anni. Adesso sono una donna, una persona adulta, dovrei aver superato quei traumi, invece combatto ancora con le medesime angosce con una differenza : oggi ne sono consapevole. Allora le domando :” Se aver acquisito consapevolezza non è servito a guarire dalla nevrosi, cosa devo fare per evitare l’angoscia della separazione?” La mia è una domanda retorica. Conosco la sua risposta. ” La consapevolezza non sconfigge la paura, ma ti consente di affrontarla e di non sprofondare nell’angoscia. E’ come quando dobbiamo affrontare un pericolo: un conto è conoscerlo e quindi preparare una strategia adeguata per difenderci e altro è non sapere nulla , né da dove viene nè da chi o che cosa e quindi vivere nell’angoscia dell’attesa senza poter predisporre una difesa adeguata.” Almeno mi faccia i complimenti, sono o non sono una brava allieva? Non è fiera di me? Mi faccio pena , ancora con questo bisogno di “RICONOSCIMENTO!!! di STIMA !!! Ancora a piatire un suo BRAVA! Quando riuscirò a dirmelo da sola? Quando? Non mi aspetto una risposta……comunque le sono riconoscente. La sua ex paziente ribelle XY. (Per rispettare la privacy ometto il nome) </p>
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<title>SEPARARSI</title>
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<pubDate>Thu, 30 Nov 2023 16:37:41 +0000</pubDate>
<category><![CDATA[psicopatologia quotidiana]]></category>
<category><![CDATA[abbandono]]></category>
<category><![CDATA[separsi]]></category>
<category><![CDATA[trauma]]></category>
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<p>Titolo impegnativo, significante, che contiene una moltitudine di significati che vorrei analizzare e condividere con voi. Forse posterò più di un articolo su questo argomento . Oggi incomincio dalla paziente protagonista dei miei ultimi post. Entra in studio sorridente e sicura di se, elegante come sempre e perfettamente truccata. Dopo avermi salutata con un ampio sorriso: “Oggi è la nostra ultima seduta” dice guardandomi negli occhi e sedendosi sulla poltroncina di fronte alla scrivania. Non ha guardato nemmeno per un attimo il lettino di analisi. Poi, anticipando il mio commento, prosegue ” Non è una decisione improvvisa, ci stavo pensando da un po’ di tempo, ma continuavo a rimandare di seduta in seduta ……….sa cos’è?….temevo la sua reazione! …….Non mi fraintenda…..avevo paura che lei riuscisse a convincermi che non ero pronta…….Invece io sono pronta a camminare sulle mie gambe ….ecco l’ho detto!” Più l’ascoltavo e più dalle sue parole traspariva sicumera non autentica consapevolezza di sé. Persisteva la strategia difensiva di negare la sua fragilità. Mi trovavo in una posizione piuttosto scomoda: rischiavo di colludere con la sua nevrosi sia condividendo la sua decisione sia contestandola. Lei intanto mi sollecitava a rispondere sempre più irritata dal mio silenzio. “Ecco lo sapevo che lei mi avrebbe rovinato questo momento di gioia, lo sapevo……..ma se crede con il suo silenzio di farmi cambiare idea, si sbaglia, si sbaglia di grosso.” Si accende nervosamente una sigaretta, pur sapendo che qui non è consentito fumare . Ovviamente cerca di provocare una mia reazione. “Fuma per consolidare la sua decisione ?” La mia domanda la sconcerta. Spegne immediatamente la sigaretta nel portacenere, poi mi guarda , incerta se parlare o no. C’è un piccolo movimento di labbra, ma non esce alcun suono. Io sono consapevole di muovermi su un terreno minato e devo soppesare ogni parola ; in me passano emozioni contrastanti: frustrazione e rabbia per il suo narcisismo apparentemente invincibile, pena e tenerezza per questa donna di valore che non riesce a stimarsi, a volersi bene, a manifestare tutte le sue doti e capacità. Scelgo un tema neutro e razionale, il contratto. “Lei si ricorda cosa prevedeva il contratto?” Mi guarda sorpresa “Cosa c’entra il contratto adesso?” “Il contratto prevede che passino almeno sei mesi dal giorno in cui si decide il fine analisi e la fine della medesima . Perciò se lei mi comunica oggi che vuole terminare l’analisi, dovremo ancora lavorare insieme per altri sei mesi prima di salutarci per sempre.” Ho volutamente usato “sempre” per sottolineare l’epilogo del trattamento analitico. La paziente mi guarda muta, non ostenta la solita baldanza e, per quanto mi ricordo, è l prima volta che la sento autentica, sincera. Poi mi dice: “Va bene, lavoreremo insieme questi ultimi sei mesi. Grazie adesso vado via…..ho bisogno di pensare….posso?”- Non serve rispondere verbalmente. Ci alziamo tutte e due e ci salutiamo dandoci la mano. Ecco dunque in campo il tema di questo post : la SEPARAZIONE . Con la nascita noi viviamo la prima separazione della nostra vita. Qualche psicoanalista la descrive come “il trauma della nascita” che influenzerà la nostra vita futura, anche se non ne siamo sempre consapevoli. In realtà alcuni comportamenti sia infantili che adulti testimonierebbero in questo senso. Per esempio ci sono delle persone che hanno bisogno del buio assoluto per dormire. Potrebbe essere interpretato come il tentativo inconscio di tornare nel rifugio uterino sicuro, negando l’esperienza traumatica della nascita, cioè della fuoriuscita dal buio dell’interno del corpo materno alla luce accecante di una sala parto?! Al contrario ci sono persone che non sopportano di dormire nel buio assoluto e hanno invece bisogno di una luce anche fievole, purché sia luce! Per queste persone la nascita non è un trauma, ma una separazione salvifica: il neonato è espulso, a volte anche prima del tempo previsto, ( a sette mesi o a otto mesi ). Portare un figlio in pancia per nove mesi è un’esperienza complessa emotivamente e fisicamente. Al desiderio consapevole di avere un figlio/a non sempre corrisponde un uguale desiderio inconscio. E allora queste emozioni contrastanti sono trasmesse inconsciamente al figlio/a che vuole restare il più a lungo possibile nella pancia (vedi i parti ritardati) o invece vuole uscire il prima possibile ( vedi parti anticipati). E vediamo poi bambini “mammoni” o bambini indipendenti, che tendono a ” scappare”, a ” correre via , a cercare nuove esperienze”. Il vissuto di questa prima separazione influenzerà tutte le altre separazioni, che costellano la vita di ciascuno di noi. Anzi possiamo dire che la nostra vita è all’insegna della separazione. Pensiamo a semplici gesti quotidiani : chiudere la porta di casa e uscire . Non è una separazione? Accompagnare i figli piccoli a scuola e lasciarli al portone, non è anche questa una separazione? E poi tanti altri esempi che potete trovare voi stessi.” Ma sono separazioni temporanee” rileverà qualcuno . Si, è vero, ma qualcuno potrebbe inconsciamente viverle come definitive, se nella sua infanzia c’è stata precocemente una separazione troppo prolungata nel tempo. Si tratta di situazioni limite, ma che comunque possono influenzare i rapporti interpersonali.</p>
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